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Così per amore ....
La vita è talmente meravigliosa che sciuparla è un peccato perciò: non perderti in chi vuole vederti disperato, non ascoltare chi ti vuole togliere ogni speranza. Non dare retta agli sfiduciati, ai duri di cuore, a chi vuole renderti senz'anima.
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Per tanti secoli si è diviso corpo e anima. Il corpo era il contenitore dell'anima. Non aveva valore in sé ma solo perché conteneva la parte nobile della vita: l'anima. Per cui tutto ciò che era corpo era insignificante, pericoloso o addirittura diabolico. L'abate Oddone di Cluny nell'XI secolo (Cluny era una grandissima abbazia e un centro di spiritualità enorme per quel tempo) poteva dire riferendosi al corpo: "Se ci ripugna toccare il muco e lo sterco con la punta del dito, come potremmo mai desiderare di abbracciare il sacco stesso che contiene lo sterco?".
Il corpo della donna per molti secoli è stato il simbolo del peccato, della tentazione; l'affettività è stata negata e repressa come infantilismo e la sessualità è stata catalogata come strumento del diavolo.
Non sono cose così lontane da noi. Quanti di noi hanno sofferto per mancanza di affettività pur avendo avuto un grande accudimento (la frase classica: "Non ti abbiamo fatto mancare niente", il che era proprio vero da un certo punto di vista)! Si veniva presi in braccio, ma solo per essere cambiati o zittiti dal nostro pianto. Ma gli abbracci? Le coccole? Le carezze? Il contatto pelle a pelle? Il gioco?
Quanti di noi sono analfabeti delle emozioni! Il linguaggio delle emozioni per molti di noi è ignoto.
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Una vita senza relazioni non è degna di essere vissuta; una vita senza relazioni non si può definire vita. Le relazioni sono lo strumento con cui impariamo a vivere (i nostri genitori ci hanno insegnato la vita attraverso la relazione con loro); le relazioni sono lo strumento con cui noi portiamo fuori (re-lazione, da refero, portare fuori, portare di nuovo) la vita che abbiamo in noi.
Buone relazioni equivalgono ad una vita significativa. E cattive relazioni vogliono dire una vita sempre risentita.
Noi veniamo da una relazione tra un uomo e una donna. La cosa che più ci farà felici nella vita sarà avere una buona relazione con noi (amarsi, rispettarsi, essere felici di sé ed essere in relazione con il proprio profondo-anima) e una buona relazione con altri esseri (l'amore).
Avere relazioni è normale, essere capaci di relazionarsi no.
La maggior parte delle persone non si interroga mai sulle proprie relazioni. Si crede che per il solo fatto di saper parlare, allora si sappia anche relazionarsi. Altri dicono : "Sono così non ci posso fare niente; è il mio carattere; non posso cambiare; non c'è niente da cambiare".
Un giorno all'università lungo un corridoio un ragazzo incontra una sua amica: "Ma dai, che bello vederti qui, anche tu all'università. Lo sapevo che l'avresti frequentata anche tu!". E lei risponde: "Faccio le pulizie dei corridoi e dei bagni!".
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Una buona preghiera non solo ci fa ammirare Gesù, ma ci rende anche capaci di dire grazie perché Dio si è chinato su di noi e noi siamo il regno. Non vi pare che questo meriti gratitudine? Qui è la nostra vita eterna, e già ora mi sento pienamente coinvolto e la volontà di Dio diventa la mia volontà: che cosa devo fare, Padre, perché tu sia contento? Ecco il sentimento fondamentale del Figlio Gesù, che adesso è diventato anche il mio. Ho ancora i miei progetti e la mia vita da vivere, c’è ancora il pane quotidiano da procurarsi, il mio destino terreno da compiere, però prima di tutto ho un desiderio che trabocca: voglio fare anch’io, come Gesù, la tua volontà, perché ho capito quanto è buona, giusta, unica. “Una sola volontà voglio, la tua, ma voglio metterci le mani anch’io, fammi lavorare, Padre”.
Si diventa così cristiani attivi e apostolici e, qualunque cosa facciamo, noi vogliamo lavorare per il regno, far frutto. Questo era un pensiero dominante della predicazione di Gesù: la vigna, lavorare, far frutto. Io, che mi nutro di Cristo, devo dire lo stesso. Io devo poter dire a Cristo che la sua volontà è il mio pane: “Cosa facciamo oggi, Gesù?” Ecco la domanda del vero cristiano e tutto ciò che sta nel mio taccuino deve essere un’alleanza con Dio. Non voglio più vivere la mia vita se non così.
Dammi ciò che mi è necessario per ciò che mi serve e, nello stesso tempo, io ti consegno la mia povertà di spirito”. È lecito nella vita desiderare di crescere ed avere cose belle e buone, ma sempre chiedendole con senso di familiarità col Padre.
Il Padre sa quello che mi serve e mi fido talmente che, se anche ricevo una cosa che non vorrei o che mi pare non serva, giungo a credere che se me la dona è perché mi serve. Basti pensare ad un dolore, ad una sofferenza: subito non la accettiamo e la respingiamo, “questo non ci voleva”. Umanamente non so dire di più, ma cristianamente posso dire di più: “Padre, a mio giudizio non ci voleva, ma tu sai e io no. Se nel mio pane quotidiano hai messo anche questo grano di sale che adesso ho sotto i denti, allora questo è per il mio bene”. Sono queste le frasi dei discepoli, che si fidano del dono di Dio prima di vedere il dono. Noi discepoli non chiediamo a Dio di vedere i risultati prima di accettare il “pane”, perché ci fidiamo del Padre.
Lascia che il pane te lo prepari il Padre, continua a dire che vuoi il pane che ti dà, continua a darti da fare, ma non cercare tue soluzioni. Fidati! “Padre, vuoi darmi oggi la salute? Sii benedetto. Vuoi darmi un po’ di fatica o di malattia? Sii benedetto. Tu sai, io no”. Solo un discepolo libero dal tumulto dei desideri può rivolgersi così al Padre. Quando i dolori ci straziano, questo è il momento di implorare Dio perché ci dia la forza di continuare a dire di darci il pane quotidiano, anche se è un pane veramente amaro. Fidati di Dio in quel momento, egli sa che sei nel rischio di voltargli le spalle.